Aprile 2019 – Árstíðir Lífsins

 

Che mese fantastico aprile. Febbraio sembrava già ineguagliabile sul lungo percorso, ma il 2019 sta regalando bellissime sorprese ed è incredibilmente venuto subito il momento di ricredersi. La primavera è giunta e, con il suo risveglio, un’altra quantità a dir poco considerevole di ottime uscite ci è infatti piombata negli impianti stereo a costituire un piacevole groviglio da districare per poter scegliere quelle che più avvicinano con malizia i nostri gusti.
Questa volta ci siamo un po’ presi per i capelli al momento di doverne selezionare quattro (o uno più tre, al solito, se preferite) e specialmente qualcuno di noi ha pianto lacrime amare per alcune esclusioni; ma nonostante la concorrenza di enorme valore, e nonostante la testarda mancanza della nomina di un imperdonabile Ordog che è già stato giustamente ed abbondantemente sbeffeggiato dal resto dello staff, la scelta del primo posto è ricaduta alla totale ed incontrovertibile unanimità sul nuovo parto degli islandesi Árstíðir Lífsins.
“Vápn Ok Viðr”, uscito il 26 aprile su Ván Records (il giorno non è fatto trascurabile e d’ora in avanti verrà ricordato nei calendari, scopriamo il perché procedendo senza fretta), è la prima parte di quel che sarà un doppio album (neanche a dirlo) concettuale che è stato però ambiziosamente separato in due storie complementari per comporre la “Saga Á Tveim Tungum”, che si completerà nelle intenzioni in sei mesi esatti a partire dall’uscita della prima. Nulla di ufficiale, ma a fine ottobre per intenderci.
Quindi l’articolo di oggi lo iniziamo immancabilmente col parlarne, mentre a seguire abbiamo imperdibili rappresentanti della stormakt compositiva svedese sempre vicina al mondo pagano a cavallo tra lo storico e il leggendario, condita da due bombe di graffiante folklore dalla Germania diverse per approccio ma legate tra loro per ben più di un motivo. Noi ne abbiamo contati almeno tre.
Per ordine, ci immergiamo però prima nell’oscurità delle spietate acque d’Islanda facendo nostro “Saga Á Tveim Tungum I: Vápn Ok Viðr”

 

 

Quando tornano gli Árstíðir Lífsins non ce n’è per nessuno. Figurarsi poi, se oltre al mero fatto di rilasciare un nuovo full-length, lo fanno attaccando nel modo più schiacciante, oscuro, tragico, profondo e distruttivo di sempre. La prima incendiaria parte di quella che sarà la saga in due capitoli intitolata “Saga Á Tveim Tungum” non poteva uscire meglio, più caratteristica, più nera, più emotiva o più soddisfacente. Descrivere nel dettaglio cosa gli Árstíðir Lífsins facciano nei monumenti che chiamano album lascia infatti sempre un che di non detto: non si tratta di cosa, ma di come; e in “Vápn Ok Viðr” parliamo di un’esperienza minacciosamente immersiva e semplicemente da annali.”

(Leggi di più nella recensione che lo ha eletto anche disco della settimana, qui.)

Non ci sono aggettivi nel linguaggio comune per descrivere la facilità e la naturalezza con le quali gli Árstíðir Lífsins ci cullano nel corso dei 70 (settanta, non uno di meno) minuti di “Saga Á Tveim Tungum I: Vápn Ok Viðr”. Si potrebbe elencare il modo in cui vengono utilizzate diverse espressioni del Black Metal, oppure si potrebbe citare l’eleganza del folklore, oppure ancora l’aura quasi sciamanica che pervade l’atmosfera generale del disco, quando in realtà ciò che conta è soltanto spegnersi e lasciarsi trasportare brano dopo brano tra gli immaginari della band teuto-islandese. Un’esperienza sicuramente da provare e che senza dubbio continuerà a crescere durante ascolti futuri.”

L’approccio narrativo che da sempre caratterizza la band, arricchendo ogni composizione di declamazioni e frequenti cambi di registro, si mantiene, ma viene posto in secondo piano a favore di una maggiore coerenza complessiva: le chitarre mai prima d’ora così aggressive, corpose e incalzanti, sfumano nel tono grave dei cori e l’eleganza classica degli archi viene inizialmente relegata a brevi rifiniture, per poi tornare con forza sul finale, sfociando in un’ultima mezz’ora di solenne e intensa drammaticità. La veste tragica, sanguigna e in generale più estrema di cui gli islandesi si ammantano e che si disvela fin dalla sfuriata iniziale, rischia di rendere l’uscita difficile da dischiudere e afferrare nella sua completezza ad un primo ascolto, ma in breve tempo si dimostra in grado di restituire una nuova e magnifica versione del sound Árstíðir Lífsins, finanche più diretta e fruibile. Un album straordinario, di una band che pare proprio non voler sbagliare un colpo: se, come è stato annunciato, torneranno a farsi vivi di nuovo in questo 2019 state pur certi che un altro articolo del mese porterà la loro effigie.”

“Ritorna il progetto tedesco-islandese Árstíðir Lífsins, e lo fa con il primo capitolo della sua ambiziosa e nuova saga sonora, mostrandoci un sound molto più cupo e diretto rispetto ai precedenti dischi. I riff di matrice Black Metal sono infatti leggermente predominanti rispetto al passato, ma lasciano intatta quella tipica atmosfera etena che ha sempre caratterizzato i loro lavori; a livello vocale è pertanto un continuo alternarsi fra gli scream ferali di Marsél e i cori solenni degli altri componenti. Un disco ricco di contrasti, ma dalle tonalità principalmente fredde (in perfetto stile scandinavo) che li restituisce sì ambiziosi, ma con le idee ben chiare e ben realizzate: un prequel che non può fare altro che aumentare l’attesa per il suo sequel.”

 

 

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“Fornaldarsagor” della legione svedese Månegarm, anch’esso uscito il 26 aprile ma su Napalm Records, che li ripropone con estrema forza tra i nomi migliori e più inimitabili del loro panorama stilistico di riferimento. Bando alle presentazioni: il nono full-length del trio di Norrtälje si è davvero meritato, e con estrema facilità, una standing ovation senza la minima macchia da parte dell’intero staff. Come si suol dire, giù il cappello.

“Enorme colpo di coda dei Månegarm che, dopo l’imprevista stanchezza e faciloneria dell’omonimo di quattro anni fa, con “Fornaldarsagor” realizzano invece uno dei loro migliori dischi di sempre, possibilmente proprio il migliore. Un concentrato freschissimo di hit e cannonate clamorose che non rimandano al passato ma solo e soltanto ad un presente ora incredibilmente radioso, fatto di ferocia, ritornelli squarciagola, ispirata abilità compositiva e tutto ciò per cui la band è divenuta amata negli anni. All’assoluto meglio delle forze e non senza sorprese. Da avere.”

(Leggi di più nella recensione che lo ha eletto ieri disco della settimana corrente, qui.)

I guerrieri di Svezia sono riapprodati in patria e hanno finalmente una nuova storia da raccontare, forse la più appassionante, inaspettata e coinvolgente di sempre. L’ultimo pallido e sgradevole ricordo del disco omonimo svanisce definitivamente solo dopo pochi minuti di “Fornaldarsagor”, spazzato via dalla sua fresca genuinità: il riffing muscolare, sul quale sei anni fa “Legions Of The North” faceva perno, mantiene la sua carica adrenalinica pur aumentando in complessità e spettro, suonando più pieno, curato e arricchito dalla componente folkloristica: non più relegata ad esaltare i momenti più epici e di maggiore presa, spesse volte pronta ad insinuarsi nelle sottotrame del pezzo, tornando a rivestire un aspetto portante e fondamentale del sound dei Nostri. Finalmente in grado di sprigionare e dimostrare appieno la maturità artistica accumulata nella carriera ventennale, i Månegarm ci mettono sul piatto il miglior disco della loro ultima decade, nonché uno dei più ispirati dell’intera discografia.”

Ritorno in grande stile dei Månegarm dopo l’ultima uscita rivolta a minorenni nerd fan dei draghetti. Il nuovo “Fornaldarsagor” risveglia sensazioni che non si provavano dall’accoppiata “Vargstenen” / “Nattväsen” grazie ad un sound molto incisivo e schietto, efficace sia quando si tratta di alzare il ritmo sia quando si vira verso sonorità maggiormente tendenti all’epico. La componente più esaltata appare infatti molto più veritiera e convincente; discorso totalmente valido anche per le parti folkloristiche che ritrovano carattere e riescono a catturarci durante l’ascolto senza mai assomigliare ad una massa di glucosio sonoro. Simpatiche, infine, le due bonus-track presenti nella versione digitale che, assieme al tocco di folklore puro della conclusiva “Dödskvädet”, fungono da più spensierato titolo di coda.”

Si faccia da parte chi è debole di cuore o chi cerca qualcosa di pretenziosamente “estremo”, perché quelli contenuti in “Fornaldarsagor” sono quarantacinque minuti di pura adrenalina in cui i Månegarm si confermano nuovamente maestri nel suonare in modo pomposo senza però mai scadere nel kitsch. Tutti gli otto brani presenti nella tracklist del disco (la cover dei Motörhead come bonus-track digitale non è, per così dire, esattamente imperdibile) sono scritti ed eseguiti in modo da colpire emotivamente qualsiasi ascoltatore, il quale potrà godere di un songwriting per nulla trascurabile e (soprattutto) dell’impatto deflagrante di riff avvincenti, nonché ritornelli semplicemente memorabili, scanditi dall’ugola possente di Erik Grawsiö. Tanto letali nei furibondi assalti iniziali quanto epicamente drammatici nei cori conclusivi, i ragazzi di Norrtälje tirano fuori la perfetta incarnazione del concetto di “all killer, no filler”, con buona pace di chi da questa musica pretende solamente blast-beat e ululati fuori contesto.”

“Alla luce dei due precedenti e deludenti dischi, sembrava impossibile nel 2019 gustarsi un nuovo album degli svedesi Månegarm, specie guardando indietro nel tempo con malinconia al bellissimo “Vargstenen” del 2007 (probabilmente l’apice della loro carriera); invece dobbiamo ricrederci, perché il loro nuovo “Fornaldarsagor” è dannatamente convincente, dall’inizio alla fine, e senza cali di tono. Ogni singola canzone ha una precisa identità sonora, fatto che rende variegato il tutto dalla struggente “Ett Sista Farväl” alla vivacissima “Hervors Arv” (che sarà senza alcun dubbio il prossimo cavallo di battaglia nei concerti). Da non dimenticare inoltre il fondamentale aspetto visivo, curato dal sempre ottimo Kris Verwimp. Risuoni chiaro: bentornati.”

 

 

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Immancabili anche gli ormai pupilli Dauþuz che su queste pagine sembrano essersi meritatamente guadagnati un posto fisso a sonore gomitate altezza viso. “Monvmentvm” è il loro terzo full-length, traguardo di qualità raggiunto il 14 aprile via Naturmacht Productions, e anche lui si è portato a casa un’altra standing ovation raccogliendo i non freddi applausi personali di ogni membro di chi scrive su queste pagine.

Chi già conosce e apprezza i Dauþuz non potrà rischiare di rimanere deluso da “Monvmentvm”: ormai solidi come diamanti grezzi, estratti da quelle miniere di cui ci rendono con sentito slancio partecipi, i due continuano nel loro percorso di consolidamento aggiungendo ad ogni passaggio quel tanto che basta per tenere il loro Black Metal scattante, ferino, grandemente melodico ma rasoiante e roboantemente rumoroso, nonché personale e di assoluto, immancabile interesse.”

(Leggi di più nella recensione che lo ha eletto disco della settimana lo scorso martedì, qui.)

Senza cambiare troppo le carte in tavola i teutonici Dauþuz ci rilanciano tra le miniere europee a penare inalando polveri di carbone. Lo stile del gruppo è più che mai riconoscibile, ma tra piccolezze e dettagli aggiuntivi il disco si presenta fresco e molto più particolare rispetto al precedente “Die Grubenmähre”, che ha forse l’unico difetto di essere uscito temporalmente troppo vicino al debutto. In definitiva, “Monvmentvm” ci riconferma un gruppo capace e sempre piacevole da ascoltare: non lasciatevelo scappare.”

Per quest’anno non cambiar caverna, stesso piccone stessa lanterna. O quasi. L’appuntamento fisso con i Dauþuz non si fa insomma attendere anche in questo 2019 e un’altra volta riescono a stregare pur rimanendo stentoreamente saldi alle loro coordinate, forti della loro unicità: una sempre maggiore consapevolezza dei propri mezzi li porta infatti a raffinare via via ogni componente del proprio stile, apportando lievi modifiche che favoriscono, in questo caso, la formazione di un platter più scorrevole in cui le vocals si fanno più varie grazie all’apporto particolarmente marcato dei cori e in cui gli intermezzi acustici si presentano maggiormente integrati e coesi nell’incedere. Il nero e fuligginoso terrore tellurico si mischia ad un flavour più magico, che si traduce in suoni più dilatati e fluidi, efficaci soprattutto nelle tracce dal minutaggio più elevato e in grado di smussare alcuni particolari che in “Die Grubenmähre” suonavano eccessivamente aspri.”

Il giacimento di ottimo Black Metal da cui attingono questi scavatori germanici non accenna assolutamente ad esaurirsi, e a nemmeno un lustro dalla loro nascita i Dauþuz estraggono dal sottosuolo l’ennesimo gran lavoro nella forma di questo “Monvmentvm”. A colpire maggiormente durante il susseguirsi dei pezzi è il dinamismo dell’opera, il cui flusso musicale sprigionato passa senza intoppi da ritmiche serrate a tempi più dilatati; questa ricchezza va però valorizzata in modo da favorirne la continuità, ed il duo sceglie così di ricoprire quasi tutto il disco con un tappeto melodico affidato alla chitarra e ai sapientemente dosati cori. Non di rado dunque la sporcizia della miniera viene soppiantata dall’apertura a momenti più vicini al Folk, tanto nei tre interludi acustici quanto in alcuni eccellenti fraseggi piazzati nei punti meno movimentati dell’album: nulla di così rivoluzionario, certamente, ma “Monvmentvm” sarà sicuramente presente al momento di tirare un bilancio su questa già prolifica annata.”

“Con o senza ironia, è proprio il caso di dire che l’ispirazione prolifica dei Dauþuz equivale ad una miniera ancora tutta da esplorare, perché appena si ha la sensazione di aver trovato una gemma, ecco che i due minatori tedeschi stupiscono tutti portandone alla luce un’altra più grossa, e ancor più fulgida della precedente. È il caso di “Monvmentvm”, nuovo album che ribadisce l’ottimo stato di grazia del duo: da un lato confermando un suono molto personale (impermeato da riff di chitarra epici e solenni, elevato dalla fantastica ugola multisfaccettata di Syderyth e dai tipici intermezzi acustici di ulveriana memoria), mentre dall’altro vengono mostrate delle calcolate progressioni come l’incremento in atmosfera, dei cori e del minutaggio delle tracce; tutti elementi che, se ben sviluppati, potranno rendere i futuri album di qualità decisamente ancora più elevata.”

 

 

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E se vi sono piaciuti i Dauþuz sarete ben contenti di dare una chance anche ad un altro progetto, che vi è legato per componenti e label e su cui tiene a spendere un paio di parole il nostro Feanor: gli Isgalder, che gli hanno strappato il cuore con musica e artwork, vi faranno ascoltare un’ugola assolutamente non sconosciuta, tuttavia al servizio di un Pagan Black Metal folkloristico, alla tedesca d’annata, immancabilmente ricco di tastiere.

Da sempre la Turingia, regione situata nella parte centrale della Germania, ha dato i natali a band di assoluto valore in ambiti Pagan Black Metal e affini. Vuoi per la splendida natura piena di foreste e montagne o per la sua storia medievale, sta di fatto che gli Isgalder non fanno eccezione. Il loro debutto “The Red Wanderer” offre quel tipico Black Metal teutonico di stampo pagano, con elementi sia sinfonici che acustici tipici della declinazione musicale di questa regione (non è un caso trovare, di tanto in tanto, delle leggere influenze provenienti dai Menhir – ancora oggi forse il gruppo più rappresentativo di questa scena), e specialmente dell’indimenticato “Thuringia” (1999). Sebbene gli Isgalder non raggiungano fisiologicamente ancora i livelli epici del suddetto gruppo o disco, il loro suono è senz’altro degno di nota, complice l’ugola di Grimwald (Syderyth, nei Dauþuz) che qui si destreggia nell’alternare il più possibile i suoi scream e le sue clean vocals. Ne è esempio la versione Neo-Folk, cantata in tedesco, della title-track “Der Rote Wanderer”: scelta stilistica che rende il pezzo ancor più commovente (in alcuni punti tornano echi di “Am Tage Der Letzten Schlacht” del progetto berlinese Arathorn) e contribuisce a forgiare un buon debutto, impreziosito dal bellissimo artwork realizzato da Mathias Litke.”

 

 

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Fine della rassegna anche per oggi, e visto che soltanto un mesetto fa nel chiudere l’ultima occasione di questo tipo vi informavamo della novità riguardante un piccolo update tecnico del calendario delle uscite, sembra il caso di concludere analogamente ricordandovi che qualunque altro disco rilasciato in aprile (che non ha trovato il suo spazio tra le nostre preferenze condivise, ma comunque piaciuto a qualcuno di noi, tipo Mephorash, Vargrav, Deus Mortem, magari Helheim ecc.) lo potete recuperare consultando questo splendore in aggiornamento automatico e costante. Ce lo invidiano tutti, è il nostro vanto e ne andiamo fieri, quindi vi torni utile nel caso i titoli consigliati oggi non siano abbastanza o le proposte non abbiano incontrato gradimento.
Intanto maggio scalpita. Sarà all’altezza? Se siete già dietro a gustarvi un paio di dischi usciti negli ultimi giorni sappiate che non siete i soli. Rendez-vous a fine mese.

 

Matteo “Theo” Damiani

 

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